«È il mio figlio maschio»

di Sandro Noto

Per Sonia Falaschi la sua cioccolateria è un crocevia di affetti. Così ha scelto di non chiudere ai tempi del coronavirus

Uno dei vocaboli che dominano l’attualità è “percorso”. Quell’immutabile sequenza di luoghi che da casa ci conduce alle poche mete consentite: cassonetti, supermercato, farmacia. Tracciati disegnati anche, chissà, dall’imbarazzante auspicio di ridurre la probabilità di incontrare persone.       

La strada della mia quarantena è via San Francesco, da cui transito la mattina per raggiungere l’edicola di Borgo Stretto. Mi allieta ogni volta constatare che, insieme al fruttivendolo, l’unica attività aperta è la cioccolateria “Bon Bon”. Ai miei occhi raffigura un afflato di umano desiderio che resiste alla tragedia.

Dal negozio vuoto, nella strada vuota, irrompe la voce di Sonia Falaschi mentre annota gli ordini al telefono. La sua espressività, coerente ai profumi e agli incarti colorati che la circondano, valica la mascherina. «La futilità della cioccolata è indispensabile per l’umore dei miei clienti abituali – mi confida – Per il mio benessere, invece, devo rendermi utile a loro. Così, poiché la mia licenza include la vendita di generi alimentari, continuo a lavorare trascurando i guadagni: la merce è scontata del 30% e la consegno gratis. Mi ricompensa assecondare le mamme del Sud Italia, che mi chiamano per regalare un uovo ai figli, studenti fuorisede costretti a trascorrere la Pasqua in solitudine. “Recapitare” il loro amore mi commuove».

Rievocando i quarant’anni vissuti nella sua bottega Sonia danza. Fulminea protende le mani verso gli scaffali per mostrare e decantarmi rare delizie che poi mi sprona ad assaggiare. Modula il parlato alternando ricordi allegri e malinconici. A un tratto, consapevole della sua intensità, sorridendo mi confessa: «Scusami tesoro, è la passione. Le mie figlie me lo dicono sempre, forse con un pizzico di gelosia: “Il negozio è il tuo figlio maschio”. L’ho concepito durante un viaggio in Canada nel 1979, ispirata dalle sontuose confetterie scoperte lì. Abbandonai così gli studi in biologia per seguire questo impulso. La nascita di Bon Bon rivoluzionò la proposta dolciaria della Pisa di allora. Offrivo infusi di svariate provenienze, salsa di cipolle, marmellate ungheresi. “L’ho preso da Bon Bon” si iniziò presto a dire in città per sottintendere la raffinatezza dei prodotti acquistati qui». 

Sonia poi sbalza dalle memorie al 2021: «L’anno prossimo andrò in pensione e cederò l’attività. Sarà innaturale però, perché…». Esita cercando le parole giuste. «Perché Bon Bon sono io».